La dialisi peritoneale continua in caso di insufficienza renale acuta nel cane.
Autori: G.Vincenzi - G.Piccinini


Congresso nazionale ed internazionale AIVPA
Modena - Hotel Fini 1986



RIASSUNTO

Gli autori descrivono l'uso della dialisi peritoneale continua C.A.P.D. nel cane, con particolare riferimento agli aspetti pratici. Riferiscono inoltre i risultati ottenuti in alcuni cani affetti da insufficienza renale acuta e sottoposti a tale pratica, e i vantaggi rispetto alla dialisi breve.

Parole chiave: cane, insufficienza renale, dialisi peritoneale.

L'impegnativo progetto di sperimentare nel cane e nel gatto le nuove tecniche di dialisi peritoneale, già realizzate in campo umano, è nato forse dall'evidente contrasto tra la scarsità di trattati e pubblicazioni nel campo veterinario (nazionali ed esteri) ed i notevoli progressi raggiunti invece nella medicina umana.
Progressi che hanno fatto sì, che dopo alterne vicende, la dialisi peritoneale si sia imposta come valida alternativa alla dialisi extracorporea in numerose condizioni cliniche.
Dal 1922, quando Putnam riportò da studi sul cane, la convinzione che il peritoneo si comportasse come una membrana dializzante, ad oggi, l'evoluzione delle conoscenze tecniche e teoriche sul trattamento dialitico intracorporeo, è stato enorme.
I miglioramenti tecnici e l'ampliarsi delle conoscenze sulla cinetica degli scambi si accompagnavano ad un progressivo aumento del numero di soluzioni dialitiche disponibili.
L'avvento di nuovi cateteri, l'avvento in extracorporea delle dialisi brevi e le nuove conoscenze sulle caratteristiche delle membrane peritoneali, stimolarono l'applicazione nella D.P. di nuovi schemi di trattamenti diversificati fino alla recente introduzione nella pratica clinica, della dialisi peritoneale ambulatoriale continua C.A.P.D. E' a queste nuove tecniche che noi abbiamo rivolto la nostra attenzione, ed è a tale riguardo che Vi riferiamo le nostre esperienze.
Alcuni elementi di anatomia e fisiologia del peritoneo, seppur frammentari, sono indispensabili per capire meglio perché certe tecniche possono essere preferite ad altre più sperimentate.
Il peritoneo risulta costituito da uno strato di tessuto connettivale, su cui poggia un epitelio pavimentoso semplice.
La membrana peritoneale delimita uno spazio virtuale detto cavità peritoneale. Il peritoneo è costituito da due foglietti: il parietale che ricopre la parete addomino-pelvica ed il viscerale, che riveste la maggior parte degli organi addominali. Il primo riceve sangue dai vasi della parete addominale, mentre il secondo da quelli che irrorano i visceri e principalmente dalla arteria mesenterica anteriore.
Le strutture anatomiche attraversate dai fluidi nel loro movimento dal sangue al liquido di dialisi e viceversa, sono rappresentate da: endotelio, membrana basale, interstizio e mesotelio.
L'area del peritoneo si considera approssimativamente uguale a quella dei capillari glomerulari, vale a dire da 0,5 a 1,5 m2 per 100 gr di rene. Osservazioni fatte al microscopio elettronico sul peritoneo di diverse specie animali dimostrano che le cellule mesoteliali sono provviste, sulla superficie libera, di strutture a tipo microvillo non uniformemente distribuite e di lunghezza variabile da 1,3 a 3 micron.
Tali strutture possono variare di forma e volume e, come avviene in altri settori dell'organismo, aumentando la superficie utile del mesotelio e rendendo quindi meno importante l'esatta determinazione dell'area totale della membrana.
Lo scambio di sostanze tra sangue e liquido di dialisi e viceversa, sarebbe mediato da due sistemi di pori e canali ripieni di acqua.
Le molecole superiori di diametro a 45-50 A (proteine plasmatiche) prenderebbero la via dei grandi pori (250-500 A) mentre le molecole di dimensioni minori passerebbero attraverso il sistema dei piccoli pori di diametro inferiore a 45-50 A.
Il confronto tra l'emodialisi e dialisi peritoneale, ha consentito di osservare che la taglia media dei pori deve essere più grande nel peritoneo che nella membrana del dializzatore, mentre il numero di pori per unità di area deve essere molto minore.
I soluti a maggior peso molecolare, risultano quindi avvantaggiati rispetto all'emodialisi, nonostante il ridotto numero di pori. I soluti a basso peso molecolare (urea), risulterebbero svantaggiati dallo scarso numero dei pori rispetto alle membrane impiegate nella dialisi extracorporea.
Riassumere qui brevemente e schematizzare i meccanismi che intervengono negli scambi, non è cosa semplice anche perché sono tuttora oggetto di studio e di ricerca e danno quindi spazio alle più svariate supposizioni.

Di certo si sa:
1) Che il peritoneo viscerale ha una maggior permeabilità del peritoneo parietale;
2) Che l'area totale dei pori, sia a livello endoteliale, che a livello mesoteliale, rappresenta una frazione percentuale molto piccola delle superfici totali endoteliale e mesoteliale. Particolare molto interessante che va sottolineato e che giustifica pienamente un più largo impiego di questa terapia nel campo dei piccoli animali, è che nel cane l'area effettiva dei pori rappresenta circa il 4% dell'area totale. Il loro raggio medio risulta di 0,58 micron. La stessa area valutata in altre specie corrisponde a circa lo 0,5-0,6%;
3) Che la grandezza dei pori può essere un fattore determinante della permeabilità del peritoneo per certi soluti.
Il flusso ematico peritoneale è alimentato da un sistema di arteriole che si dividono in numerosi capillari il cui flusso sanguigno è regolato da un sistema di sfinteri precapillari. I capillari derivanti dalla singola arteriola, possono differire tra loro per lunghezza e per caratteristiche di permeabilità, ma sembra ormai assodato che solo il 20-25% circa di essi sia perfuso.
L'aggiunta di vasodilatatori alle soluzioni per dialisi peritoneale, ha consentito importanti considerazioni sulla perfusione distrettuale.
Si è così potuto dimostrare la neoperfusione di vasi e si sono tratte informazioni di grande utilità nell'interpretazione della dinamica degli scambi a livello capillare. L'attuazione clinica della dialisi intracorporea, ha da tempo indicato che il peritoneo si comporta come una membrana semipermeabile, poiché la soluzione di dialisi lasciata in cavità, tende a raggiungere l'equilibrio con il plasma, secondo la legge di Gibbs-Donnan. I fattori che influenzano il trasporto dei soluti attraverso la membrana sono:
1) Il limitato numero dei capillari e la relativamente bassa area dei pori;
2) La resistenza che i soluti incontrano nel passare dall'endotelio capillare alla cavità peritoneale;
3) Il flusso ematico capillare effettivo;
4) Il flusso della soluzione di dialisi, la sua composizione e le sue caratteristiche fisico-chimiche;
5) L'ultrafiltrazione.
Nei sistemi biologici esistono numerose membrane naturali che consentono il passaggio selettivo di alcune particelle rispetto ad altre, oppure di separare il soluto dal solvente.

Molti processi biologici potremmo infatti classificarli semplicemente "separazione di una sostanza dall'altra".
In questo meccanismo, che si ricollega a quello della dialisi peritoneale, intervengono diversi fattori a carattere puramente fisico, facilmente analizzabili, che è opportuno richiamare schematicamente e che sono: diffusione, filtrazione, osmosi e ultrafiltrazione.
La membrana peritoneale però, in quanto vitale, affianca ai processi sovraesposti, osservabili nelle membrane inerti, anche processi legati alle diverse attività biologiche cellulari, quali:
a) Il trasporto attivo: processi di diffusione contro gradiente, definiti attivi, in quanto necessitano di un consumo energetico, la cui fonte deriva dai processi metabolici cellulari della membrana stessa.
b) La diffusione mediata da carriers: è probabile che tale meccanismo di trasporto dipenda da vere e proprie molecole vettrici, site nella membrana biologica, in grado di legarsi temporaneamente alla sostanza da trasportare.
c) Il trasporto transcellulare: è in grado di spiegare il passaggio attraverso le membrane biologiche, di sostanze ad alto peso molecolare. Questo trasporto avviene in due fasi: una di fago-pinocitosi della sostanza in questione che, veicolata all'altro polo della cellula, mediante una valvola citoplasmatica, viene (seconda fase) riversata all'esterno con un meccanismo inverso di meiocitosi.
Il trattamento di un paziente con anuria è rivolto a supplire alle funzioni normalmente svolte dal rene, che comprendono:
  • L'eliminazione delle scorie azotate e degli altri prodotti terminali del metabolismo;
  • La conservazione dell'equilibrio acido-basico;
  • La conservazione di una normale idratazione;
  • La conservazione dell'equilibrio elettrolitico.
La dialisi peritoneale è una metodica per la depurazione del sangue in grado di mantenere a livelli accettabili tutti quei parametri ematochimici, noti e non noti, il cui accumulo, in caso di insufficienza renale, finirebbe per risultare incompatibile con la vita.
Il peritoneo dunque funge da membrana tra il comparto ematico ed il comparto del liquido dialitico introdotto in cavità. La membrana peritoneale ha caratteristiche di una membrana biologica a più strati (endotelio, membrana basale, mesotelio), ed agisce fisicamente come una barriera vivente semi-permeabile.
In dettaglio possiamo esaminare il sistema dialitico peritoneale, rappresentandolo, sia pur grossolanamente, con tre elementi fondamentali le cui caratteristiche sono riassunte nella seguente tabella.



Da quando sia in medicina umana che veterinaria si accertò la validità della dialisi peritoneale come terapia dell'insufficienza renale acuta e cronica, si pose il problema, tuttora aperto, di creare un pratico e sicuro accesso al peritoneo ed una corretta metodica dialitica, sia per quanto riguarda le soluzioni, che le tecniche degli scambi.
L'accesso ideale al peritoneo dovrebbe avere:
1) Sicurezza dal punto di vista batteriologico, senza necessità di profilassi antibiotica;
2) Garanzia di efficiente drenaggio;
3) Biocompatibilità del materiale impiegato;
4) Facilità di impianto di connessione e di rimozione;
5) Basso costo.
Nessuno degli accessi per ora disponibili, possiede tali caratteristiche, ed in misura variabile ognuno di essi può dare luogo ad una serie di complicanze.
1) Ostruzione a senso unico che permette l'afflusso del liquido di dialisi ma non il deflusso;
2) Mal funzionamento per inginocchiamento del catetere;
3) Formazione di tappi di fibrina;
4) Infezione cutanea al di sopra o interno all'accesso;
5) Formazione di aderenze intestinali con rischio di perforazioni;
6) Infezione per via endocanicolare;
7) Dislocazione.
Fra tutte queste complicanze, la più comune è l'ostruzione a senso unico che nei nostri animali è provocata soprattutto dall'abbondante omento.
La posizione migliore per collocare il catetere sarebbe quindi tra la vescica e la parete del corpo, nel fondo caudale della parete addominale, perchè è la zona più distante dall'omento.
Per l'ostruzione da schiacciamento da parte di fecalomi, può essere risolta stimolando la peristalsi intestinale.
Per il coagulo di fibrina si può, a volte, prevenire con l'aggiunta di fibrinolitici al liquido di dialisi.
La perdita di liquido di dialisi attorno al catetere e l'infiltrazione del sottocutaneo, è un'evenienza abbastanza frequente della C.A.P.D., per il fatto che con questa metodica, la cavità addominale è costantemente piena di liquido di dialisi, che produce una elevata pressione endoaddominale.
Noi abbiamo sperimentato due sistemi di posizionamento del catetere e diversi tipi di cateteri. Abbiamo anche modificato in parte i cateteri usati nell'umano, allargando semplicemente i fori che, essendo piccoli, si ostruivano facilmente.
I due metodi sono: il tunnel percutaneo e il catetere rigido.
Il tunnel percutaneo dà sicuramente maggior garanzia di stabilità e funzionalità.
Trattandosi però nei nostri animali quasi sempre di terapie molto limitate nel tempo, abbiamo definitivamente optato per l'uso del catetere fisso-rigido, dato il suo più semplice e pratico impiego.
Per quanto riguarda la tecnica, benché si indichi con la sigla C.A.P.D., non è una tecnica che preveda un flusso continuo di liquido in peritoneo mediante doppi cateteri o cateteri a due vie.
La tecnica da noi adottata è intermittente e allunga i tempi di sosta del liquido stesso nel cavo peritoneale.
La C.A.P.D. è definita continua per il fatto che esercita una permanente depurazione ematica: è una tecnica particolare che può essere definita come a ritmo intermittente, ma a sequenza continua. Infatti è caratterizzata da:
a) Da ritmo intermittente del tipo ultra lento, con presenza di un lunghissimo tempo di sosta del liquido dialitico in peritoneo (2-4 ore);
b) Sequenza continua, nel senso che il trattamento in genere può durare 24 ore su 24 per alcuni giorni di seguito, tolto il tempo intercorrente tra lo svuotamento ed il riempimento successivo.
Come ho già in precedenza affermato, poco si sente parlare in medicina veterinaria di nuove tecniche di D.P. e vengono sempre consigliati tempi che si aggirano su 30'-40'.
Visto però che è da tutti riconosciuto che la permanenza del liquido in peritoneo non procura nessun danno, abbiamo provato a lasciarlo anche 2-3 ore, eseguendo prelievi di sangue ed esami con i risultati riportati in tabella I.
Evidentemente noi abbiamo impiegato la D.P. solo in caso di insufficienza renale acuta.
E' infatti impensabile, sia per le difficoltà che si incontrano, che per gli alti costi che si devono affrontare, sottoporre a questa terapia pazienti affetti da insufficienza renale cronica che necessitano di cure senza fine.



La D.P. dà ottimi risultati nelle insufficienze renali di varie eziologie. Gli stessi avvelenamenti si possono trattare con ottimi risultati. E' evidente che il tossico deve essere idrosolubile e non deve avere un altissimo legame proteico, che lo rende praticamente non idrolizzabile.
Impieghi più frequenti noi li abbiamo praticati in corso di leptospirosi, piroplasmosi (tossicosi gravidiche), piometre.
Le migliori soddisfazioni si hanno infatti in questi due ultimi casi, proprio perchè se si riesce a far superare all'animale la fase di grave insufficienza acuta che precede e segue l'intervento chirurgico, l'intervento stesso interviene come momento e causa determinante di guarigione. Si sa infatti da numerosi studi, che nella patogenesi della G.N.A. che si accompagna all'evoluzione della piometra, interverrebbe la partecipazione di immunocomplessi solubili a partire da antigeni batterici di origine uterina (E. Coli).
La malattia glomerulare può essere reversibile sia funzionalmente che strutturalmente, dopo ovarioisterectomia.
Nella leptospirosi invece, anche se noi abbiamo un miglioramento ed un calo di tossici durante la terapia, la sospensione di questa riporta l'animale ad una situazione critica, perchè a volte il danno renale è molto più avanzato ed irreversibile.
Per concludere, voglio precisare che il nostro lavoro non vuole dare indicazioni sui casi nei quali impiegare la dialisi peritoneale, ma dimostrare che l'allungare i tempi di permanenza in peritoneo dei liquidi di dialisi, dà buoni risultati, diminuendo i costi e le manualità di cambio dei liquidi che sono richiesti invece da permanenze brevi, intorno a 30'-40'.




Pubblicato sul bollettino AIVPA




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